Italia Nera: il Male nel Belpaese

“Italiani brava gente” - ne siamo sicuri?

cadavere di Giulia

Ex fidanzati scomparsi: spunta una nuova prova contro Turetta

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Il caso degli ex fidanzati scomparsi potrebbe giungere al capolinea. Un video inchioderebbe Filippo Turetta

I due ex fidanzati Giulia Cecchettin e Filippo Turetta, entrambi 22enni, sono scomparsi in Veneto lo scorso sabato 11 novembre. Dal loro ultimo incontro in un fast food del centro commerciale Nave de Vero di Marghera, di loro si sono perse le tracce.

Oggi, però, la procura di Venezia ha iscritto il ragazzo nel registro degli indagati per tentato omicidio. Gli inquirenti avrebbero riscontrato degli elementi in favore dell’accusa a seguito di alcune perquisizioni, sulle quali vige il massimo riserbo, ma soprattutto, è stato ritrovato un breve video – risalente alla notte della scomparsa – in cui si vede Filippo Turetta aggredire Giulia Cecchettin.

Il filmato – proveniente dalle videocamere di sicurezza dello stabilimento “Dior” – è stato ripreso sulla strada dove, domenica scorsa, erano già state repertate delle macchie di sangue e dei capelli che si pensa possano risalire alla giovane. Nel video si vedrebbe Filippo aggredire Giulia a mani nude e poi caricarla, sanguinante, nella sua auto.

L’ennesimo femminicidio? Nì. La tesi di Roberta Bruzzone

Dopo che il caso degli ex fidanzati scomparsi ha raggiunto il clamore mediatico, credere che si tratti dell’ennesimo episodio di femminicidio è diventata un’opinione comune. Gli elementi, d’altronde, ci sono tutti: Giulia decide di lasciare Filippo, che affranto la prega di ritornare sui suoi passi; lei accetta il fatidico “ultimo incontro” chiarificatore – dal quale più volte i media intimano di diffidare – dopodiché di lei (e stavolta anche di lui) si perdono le tracce.

Tuttavia, la dottoressa Roberta Bruzzone ha fatto emergere una variazione sul tema al canovaccio tristemente noto di lui che uccide lei. Ebbene, la nota criminologa ha sottolineato un elemento in particolare: Giulia è sparita pochi giorni prima della discussione della sua tesi di laurea, prevista per il giorno scorso (16 novembre). Questo è un indizio dalla doppia valenza: in primis ci fa capire quanto sia difficile che si tratti di allontanamento volontario, perlomeno se si pensa al profilo psicologico che ci hanno restituito di Giulia; in secondo luogo ci fornisce un presunto doppio movente. Filippo, infatti, era sì deluso dalla fine della sua relazione, ma potrebbe essere giunto al colmo della sopportazione per aver saputo che la ex lo stava anticipando negli studi.

Potrebbe sembrare una tesi alquanto azzardata, eppure sono le stesse ricerche statistiche a dirci che gli uomini mal sopportano l’indipendenza (e l’intelligenza) in una donna. Cosa c’è di strano a considerarla una concausa in questo affaraccio chiamato genericamente “femminicidio”?

Non a caso, la stessa zia materna della ragazza, Elisa Camerotto, ha riferito ai giornalisti che «Filippo non era contento che Giulia si laureasse prima, perché temeva che si potesse allontanare da lui».

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Pietro Orlandi e l’ok della commissione d’inchiesta

La commissione parlamentare d’inchiesta sui casi Orlandi e Gregori è stata approvata

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Ieri – 9 novembre 2023 – è stata approvata in via definitiva la commissione parlamentare d’inchiesta sul caso delle sparizioni di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. Dopo il voto unanime favorevole della Camera avvenuto lo scorso 23 marzo, si era iniziato a temere un esito negativo per via dei rallentamenti occorsi durante le audizioni al Senato. Alla fine, però, la volontà di far luce su 40 anni di mistificazioni ha prevalso e i senatori hanno approvato il disegno di legge con la quasi unanimità. Tutti i voti, infatti, sono stati a favore della commissione ad eccezione dell’astensione di Pierferdinando Casini e del voto contrario di Roberto Menia (FdI).

Queste le parole di Pietro Orlandi: “Sono contento, ne ero abbastanza certo, non pensavo a un esito negativo, anche dalle dichiarazioni. Erano tutti d’accordo, tranne il senatore Maurizio Gasparri che è tornato di nuovo sulle accuse alla mia famiglia, ovvero a mio zio. Avrebbe dovuto votare no, per coerenza, sarebbe stato più dignitoso e invece si è astenuto. Ma è passata, l’importante è che oggi sia diventata legge sono convinto verranno fatti dei passi in avanti”.

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Emanuela Orlandi e la pista di Londra

Massimo Carminati e la pista di Londra

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L’ex Nar potrebbe conoscere la verità su Emanuela Orlandi

Nella scorsa puntata del podcast si è parlato del documento reso noto nel 2017 dal giornalista Emiliano Fittipaldi, intitolato “Resoconto sommario delle spese sostenute dallo stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi”. Nei cinque fogli del documento serpeggia una verità sconcertante: la cittadina vaticana avrebbe vissuto a Londra fino al 1997, per poi tornare in Italia, da cadavere.

Il documento, però, sarebbe apocrifo per via di numerose incongruenze. Tuttavia, altri elementi ci riportano a Londra e, tra le tante ipotesi, aleggia il sospetto che Massimo Carminatiex esponente dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari) – possa essere a conoscenza della verità sul caso Orlandi.

La lettera dell’arcivescovo di Canterbury

Di recente, per il caso Orlandi si è tornati a parlare della pista di Londra per via di una missiva datata 6 febbraio 1993, firmata da George Carey, al tempo arcivescovo di Canterbury. La lettera è indirizzata al cardinale Ugo Poletti, l’uomo che autorizzò la sistemazione della tomba di Enrico de Pedis nella Basilica di Sant’Apollinare.

Ebbene, l’arcivescovo rivolge a Poletti un invito a fargli visita e gli preannuncia il tema dell’incontro: parlare della “situazione di Emanuela Orlandi”, di cui Carey si dichiara a conoscenza. Anche questa lettera, però, non ha passato l’esame grafologico poiché ritenuta inconciliabile con gli standard grammaticali e stilistici di Lambeth Palace – la residenza ufficiale dell’arcivescovo di Canterbury.

Il Postino e la tesi di Ambrosini

Il giornalista Alessandro Ambrosini, nel suo blog “Notte Criminale”, ha avanzato una tesi che riprende la pista di Londra. Vi sarebbe un legame tra il documento reso noto da Fittipaldi e la missiva firmata dall’arcivescovo di Canterbury. Quest’ultima, infatti, è stata inviata a Pietro Orlandi da una mail non rintracciabile con mittente “Antonio il Postino”. Secondo Ambrosini si tratterebbe del nome in codice di un militante dei Nar, residente nella città che negli anni ’80 ha dato asilo politico a molti militanti dell’estrema destra: Londra.

“Il postino” sarebbe stato membro del gruppo dei Nar capitanato da Massimo Carminati. Perciò, figurativamente, Antonio è “il postino” nel senso che la missiva proviene da qualcuno dietro di lui. Un uomo più in alto nella gerarchia, forse proprio Massimo Carminati. 

Massimo Carminati: l’ombra nera dietro il Postino

Quando Pietro Orlandi ha chiesto di incontrarlo, Antonio il Postino si è fatto sfuggente, ma ha rivelato l’esistenza di un uomo a conoscenza dei fatti. Un individuo che, però, non vuole aiutare proprio nessuno. Che dietro Antonio il Postino si celi l’ombra nera di Massimo Carminati?

Questa è l’ipotesi di Ambrosini, secondo il quale l’ex terrorista nero potrebbe essere entrato in possesso di documenti segreti sul caso Orlandi, trafugati insieme ad altri documenti il 16 luglio del 1999 durante il furto al caveau del Tribunale di Roma. Tra le 197 cassette di sicurezza aperte, infatti, vi era anche quella del magistrato Domenico Sica, il primo ad aver indagato sulla scomparsa di Emanuela.

Caso Orlandi: l’ultima pista (Londra)

La seconda stagione del podcast Italia Nera – Il Male nel Belpaese si conclude con un breve riassunto delle piste analizzate in precedenza e con un approfondimento riguardo l’ultima pista sul caso Orlandi: Londra.

Non essendo stato ancora messo un punto su questa storia, però, il podcast rimane in continuo aggiornamento.

Ep. 10, S.2 di Italia Nera – Il Male nel Belpaese. Caso Orlandi: l’ultima pista (Londra)
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Il cardinale Bernard Francis Law e il caso Spotlight

Il Vaticano e l’ombra della pedofilia

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Nel 2002 il caso Spotlight fa tremare il Vaticano con il “caso dei preti pedofili” di Boston

Siamo nel 2002 quando il quotidiano The Boston Globe pubblica in prima pagina un articolo dove si accusa il cardinale Bernard Francis Law di aver coperto casi di pedofilia commessi da importanti esponenti della diocesi cattolica di Boston. E il Vaticano inizia a tremare.

Il team di giornalismo investigativo chiamato “Spotlight” porta alla luce episodi che il Vaticano aveva fino a quel momento taciuto. Settanta sono i sacerdoti colpevoli del reato di pedofilia, 660 i milioni di euro da pagare alle 508 vittime. La Chiesa Cattolica, messa a dura prova, risponde soltanto con il trasferimento del cardinale Law da Boston a Roma.

Emanuela Orlandi e la pista pedofila: il racconto di Pietro Orlandi

L’inchiesta Spotlight ha fatto quindi emergere gli abusi perpetrati per anni da alcuni rappresentanti della Chiesa cattolica; tuttavia, il problema della pedofilia in Vaticano esisteva da molto più tempo. Lo stesso Pietro Orlandi – fratello della cittadina vaticana scomparsa – ha recentemente raccontato di un significativo scambio avuto con un gendarme.

L’uomo avrebbe detto a Pietro Orlandi che, al tempo della scomparsa di Emanuela, lui e un suo collega si erano recati da alcuni alti prelati per chiedere loro se avessero mai visto la ragazza. Questo, avrebbe spiegato il gendarme, perché era risaputo – in Vaticano – che alcuni di loro avevano il “vizietto”.

Se volete saperne di più, cliccate al seguente link del canale YouTube di Italia Nera – Il Male nel Belpaese per ascoltare il nono episodio sul caso Orlandi:

Emanuela Orlandi – La pedofilia in Vaticano

Padre Amorth e la setta pedofila

Quello che sconvolge del racconto di Pietro Orlandi è il fatto che la Chiesa al tempo fosse a conoscenza delle abitudini di alcuni suoi esponenti e che, ciò nonostante, li abbia lasciati agire indisturbati.

Lo stesso padre Gabriele Amorth, esorcista della diocesi di Roma, in un’intervista al quotidiano La Stampa avanzò l’ipotesi che Emanuela Orlandi fosse stata drogata e poi uccisa in un’orgia tenutasi in Vaticano.

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La pista finanziaria per il Caso Orlandi

Pista finanziaria: è la soluzione per il Caso Orlandi?

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La pista della finanza e il duo Marcinkus-Calvi. Quali sono i legami con la scomparsa di Emanuela Orlandi?

La pista finanziaria resta ad oggi una delle ipotesi più discusse per il Caso Orlandi, ed è stata sostenuta anche dal compianto giornalista Andrea Purgatori. L’idea è che un’importante organizzazione criminale abbia usato Emanuela Orlandi come merce di scambio per riottenere il denaro perso a seguito del crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.

Ma perché utilizzare proprio Emanuela Orlandi?

La risposta risiede nel Vaticano, in particolare in un istituito piuttosto controverso di sua proprietà: lo Ior – acronimo di Istituto per le Opere di Religione – in quegli anni gestito da monsignor Paul Casimir Marcinkus.  

Emanuela Orlandi – La pista finanziaria (il duo Marcinkus-Calvi)

In questo ottavo episodio del podcast ripercorriamo la carriera del controverso arcivescovo americano Paul Marcinkus e i suoi legami con i banchieri Michele Sindona Roberto Calvi. 

Torniamo inoltre a parlare della Banda della Magliana e di Enrico De Pedis (di cui abbiamo parlato nell’episodio precedente), in quanto la pista finanziaria si ricollega proprio al noto boss criminale romano. 

Ep.8 della seconda stagione di Italia Nera – Il Male nel Belpaese.

Andrea Purgatori: “Una storia in due tempi”

Secondo il giornalista, che per anni si è occupato del Caso Orlandi, la scomparsa della cittadina vaticana è una storia in “due tempi”. Egli, infatti, sosteneva l’ipotesi della pista finanziaria, ma con una variante peculiare.

Secondo Andrea Purgatori, Emanuela sarebbe stata vittima di una molestia attuata all’interno delle mura leonine. E questo è il primo tempo della triste storia.

Nel secondo tempo, un’organizzazione criminale di alto livello sarebbe venuta a conoscenza della scomparsa della ragazza e avrebbe sfruttato le sue conoscenze sui dettagli del caso per ricattare il Vaticano. Questo perché l’organizzazione, nel recente passato, aveva perso molti soldi a seguito del crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.

Si tratterebbe di un’ingente somma di denaro che la banca di Calvi avrebbe prestato al Vaticano, e che quest’ultimo avrebbe utilizzato per il sostegno del sindacato antisovietico Solidarnosc in Polonia, la terra del Pontefice.

Denaro che l’Ambrosiano, dopo il crack, chiaramente non ha più potuto restituire e che il Vaticano nega di aver mai preso. Eppure, molte prove testimoniano il contrario…

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Giancarlo Capaldo, procuratore aggiunto di Roma all’epoca della seconda inchiesta sul Caso Orlandi.

Giancarlo Capaldo e la seconda inchiesta sul caso Orlandi

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Sabrina Minardi, la riapertura dell’inchiesta e la trattativa segreta di Giancarlo Capaldo con il Vaticano

Nel 2006 si apre la seconda inchiesta sul caso Orlandi. A capo delle indagini, il procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo. La super-testimone è proprio Sabrina Minardi, che l’anno prima ha concesso un’intervista esclusiva alla giornalista Raffaella Notariale riguardo il sequestro della cittadina vaticana Emanuela Orlandi. L’ex compagna del boss criminale Enrico De Pedis punta il dito proprio su Renatino e il suo autista, Sergio Virtù, ma ammette di aver avuto lei stessa un ruolo fondamentale nella sparizione di Emanuela Orlandi.

Nel 2008 si reca dagli inquirenti per dare la sua prima versione dei fatti, ma poi la cambierà così tante volte da finire per compromettere la sua credibilità. Intanto, un altro personaggio emerge dalla penombra per reclamare la sua colpevolezza: Marco Fassoni Accetti. Fotografo, esibizionista e, forse, la voce che si cela dietro l’accento anglosassone dell’americano.

Giancarlo Capaldo e la trattativa segreta

Tra il 2011 e il 2012 si è svolta una trattativa segreta tra il Vaticano e Giancarlo Capaldo, all’epoca procuratore aggiunto di Roma. Nella trattativa, gli emissari vaticani avrebbero chiesto la rimozione della tomba di De Pedis dalla Basilica di Sant’Apollinare. Operazione che lo Stato Italiano avrebbe dovuto compiere per togliere la Santa Sede dall’imbarazzo di ospitare il corpo di un criminale in un luogo sacro.

Giancarlo Capaldo, però, chiede in cambio la collaborazione del Vaticano per il caso Orlandi. La posta in gioco è alta: per la rimozione del boss dalla cripta, Capaldo chiede la restituzione di Emanuela Orlandi, viva o morta che sia, alla sua famiglia.

I due emissari – ovvero il capo della gendarmeria Domenico Giani e il suo vice Costanzo Alessandrini – rispondono al procuratore che gli faranno sapere. Due settimane più tardi, accettano lo scambio a patto che Capaldo fornisca all’opinione pubblica una storia verosimile che possa assolvere il Vaticano da ogni responsabilità. Il messaggio implicito è che ad Emanuela sia successo qualcosa che non può e non deve venire fuori. 

Giuseppe Pignatone e la rimozione di De Pedis dalla cripta

La trattativa giunge però ad un arresto. I due emissari non fanno sapere più niente e Capaldo il 2 aprile 2012 rilascia una dichiarazione pubblica all’Ansa dove dice: «Ci sono persone in Vaticano che sono a conoscenza di tutto». Inoltre, aggiunge che per quel momento la magistratura di Roma non avrebbe fatto spostare la tomba di De Pedis dalla Basilica di Sant’Apollinare. 

Il giorno seguente, però, Giancarlo Capaldo viene rimosso dall’incarico e sostituito da Giuseppe Pignatone, che smentisce le sue dichiarazioni e gli toglie la gestione delle indagini sul caso Orlandi. Come se non bastasse, ordina l’apertura e il trasferimento della tomba di De Pedis. 

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Mirella Gregori, l’altra Emanuela Orlandi

L’altra Emanuela Orlandi: Mirella Gregori

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Mirella Gregori scompare il 7 maggio del 1983. Poco più di un mese dopo, il 22 giugno, è la volta di Emanuela Orlandi. Ancora oggi si pensa che possa esserci un legame tra i due casi.

Se, però, il caso Orlandi salta spesso agli onori della cronaca, quello di Mirella Gregori riemerge solo come corollario del primo. Ed è per questo che Mirella è stata definita “l’altra Emanuela”.

Mirella Gregori, la storia

Roma, 1983. Mirella Gregori è una ragazzina di 15 anni. La sua famiglia gestisce un bar nei pressi di Via Nomentana. Mirella frequenta con ottimi risultati l’istituto tecnico Amerigo Vespucci e la sua vita è assolutamente normale. Il 7 maggio del 1983, però, accade qualcosa che la stravolgerà per sempre. 

Quel giorno, la ragazza torna da scuola attorno alle due del pomeriggio. Un po’ più tardi del solito, perché si è trattenuta assieme all’amica Sonia De Vito per chiacchierare un po’.  

Una volta a casa, il citofono suona. Lei risponde. Alla madre, Maria Vittoria Arzenton, Mirella dirà che l’ha chiamata Alessandro, un compagno delle medie, e che ha un appuntamento con lui a Porta Pia. Esce di casa. La madre non la rivedrà mai più.

Sonia De Vito, testimone inattendibile?

Secondo le ricostruzioni che sono state poi fatte in base alle testimonianze, Mirella non si reca immediatamente al luogo dell’appuntamento. Si dirige invece al bar dell’amica Sonia De Vito, dove rimane per un quarto d’ora. A Sonia, Mirella dice che andrà prima a Porta Pia e poi a Villa Torlonia assieme a “degli amici”. Non parla di Alessandro.

Sonia De Vito sarebbe quindi l’ultima persona ad aver visto Mirella, ma verrà accusata di falsa testimonianza per via di un’intercettazione telefonica dove dichiara: «Certo, lui ci conosceva, al contrario di noi che non lo conoscevamo, quindi poteva fare quello che voleva. Come ha preso Mirella poteva prendere anche me, visto che andavamo insieme». Di chi sta parlando?

Ascolta “L’altra Emanuela: Mirella Gregori” su Spreaker.

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Natalina Orlandi e Laura Sgrò

Natalina Orlandi: “Sono stata molestata solo verbalmente”

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Caso Orlandi: dopo 40 anni emerge una novità sconcertante. Ieri sera su La7 Enrico Mentana ha mandato in onda un servizio dove si punta il dito sullo zio di Emanuela: Mario Meneguzzi. L’uomo avrebbe molestato la sorella maggiore di Emanuela, Natalina Orlandi.

La donna, all’epoca una ragazza, sarebbe stata intimata a tacere sugli abusi per salvaguardare il suo lavoro alla Camera dei Deputati. Si apre così la “pista familiare”, ma da parte degli Orlandi si infiamma la protesta.

Natalina Orlandi: “Molestie solo verbali”

Oggi, a Roma, Pietro e Natalina Orlandi hanno tenuto una conferenza stampa presso la sede dell’Associazione Stampa Estera. Natalina ha così parlato delle avances subite dallo zio Mario Meneguzzi, e ha esordito così: “Innanzitutto, non sono stata stuprata, ci tengo a precisare che si è trattato di molestie solo a livello verbale”. Il fatto risalirebbe al 1978, quando la donna aveva 21 anni e lo zio 50.

La famiglia Orlandi smentisce quindi l’ipotesi della pista familiare, definendo il gesto di Mario Meneguzzi – ora deceduto – come la “debolezza di un uomo di 50 anni”. Sia Natalina che Pietro hanno rimarcato come siano rimasti in contatto con la famiglia Meneguzzi. Lo “zio Mario” – come è stato chiamato dai quotidiani – non sarebbe stato né un pedofilo né un assassino.

Natalina Orlandi e lo zio Mario, il podcast

La vicenda della sorella di Emanuela Orlandi e delle avances subite dallo zio Mario Meneguzzi è raccontata nell’episodio n.6 di Italia Nera – Il Male nel Belpaese. Ascoltate se siete interessati anche a questa piccola – ma dovuta – parentesi del Caso Orlandi.

Ascolta “Natalina Orlandi e lo zio Mario” su Spreaker.

Note: 
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Enrico de Pedis e Sabrina Minardi

De Pedis e i suoi: un’altra pista per il caso Orlandi

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La prima inchiesta sul caso della scomparsa di Emanuela Orlandi si chiude nel 1997 per mancanza di elementi. La pista del terrorismo internazionale, ampiamente battuta, non aveva portato a nulla. Nel 2005, però, una chiamata anonima alla redazione di Chi l’ha visto? cambia le carte in tavola.

“Per risolvere il caso di Emanuela Orlandi, andate a vedere chi è sepolto nella basilica di Sant’Apollinare e del favore che Renatino fece al cardinal Poletti” – dice un uomo, forse ex membro della Banda della Magliana. Sta parlando di Enrico de Pedis, detto “Renatino”, boss criminale romano deceduto negli anni ’90.

De Pedis e la Banda della Magliana

Gli inquirenti si mettono in azione e scoprono che il corpo sepolto nella basilica di Sant’Apollinare – situata accanto alla scuola di musica frequentata da Emanuela – è proprio quello di Enrico de Pedis.

Di lì a poco, la testimonianza di Sabrina Minardi, ex compagna del boss, darà nuova linfa alle indagini. La donna punta il dito su De Pedis e alcuni suoi uomini, dichiarando di essere stata anche lei stessa complice del sequestro Orlandi.

De Pedis e il caso Orlandi: il podcast

Nel secondo episodio del podcast di Italia Nera andiamo a scoprire i fatti e le testimonianze che hanno portato gli inquirenti a riaprire l’inchiesta sul caso Orlandi e a vagliare l’ipotesi che la cittadina vaticana sia stata vittima di un sequestro da parte di alcuni membri della Banda della Magliana, capeggiati da De Pedis.

Le dichiarazioni di Sabrina Minardi, tuttavia, si sono rivelate inattendibili per via della loro natura contraddittoria e confusionaria. Tuttora, però, quella della Banda della Magliana rimane una delle piste più accreditate per il mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi.

Ascolta “Emanuela Orlandi – E’ stata la Banda della Magliana?” su Spreaker.

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Papa Wojtila e Alì Agca, coinvolto nel terrorismo internazionale

Terrorismo internazionale, il caso Orlandi

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Siamo a Roma, nell’estate del 1983. Emanuela Orlandi è scomparsa oramai da più di un mese quando il 3 luglio Papa Giovanni Paolo II sconvolge la folla dei credenti venuti per assistere all’Angelus balenando la pista del terrorismo internazionale per il caso della cittadina vaticana scomparsa.

Papa Wojtyla fa un appello diretto ai sequestratori della ragazza. Queste le sue parole: “Desidero esprimere la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è nell’afflizione per la figlia Emanuela di 15 anni, che da mercoledì 22 giugno non ha fatto ritorno a casa. Condivido le ansie e l’angosciosa trepidazione dei genitori, non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità in questo caso

Agca e il terrorismo internazionale

Inequivocabile l’appello del Pontefice: Wojtyla crede che Emanuela Orlandi sia stata sequestrata. Forse, usata come arma di ricatto proprio verso il Vaticano. Emanuela potrebbe essere vittima del terrorismo internazionale.

Di lì a poco, emerge la figura dell’americano, chiamato così per il suo accento anglosassone. L’uomo rivendica il sequestro della ragazza e in cambio della sua liberazione chiede quella del terrorista Alì Agca, l’attentatore di Wojtyla.

Emanuela Orlandi – La pista del terrorismo internazionale

Oltre all’americano, nell’agosto del 1983 altri iniziano a rivendicare il sequestro di Emanuela Orlandi. Si tratta di un gruppo terroristico finora sconosciuto: il Fronte Turkesh. La richiesta, ancora una volta, è la stessa: liberate Agca. In cambio, saranno risparmiate le vite di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, 15enne romana scomparsa nel maggio dello stesso anno.

Ed è così che le vicende della ragazza vaticana e di Mirella Gregori si intrecciano nella mente degli inquirenti, dei media e, di riflesso, dell’opinione pubblica. L’ombra del terrorismo internazionale si staglia sui volti delle due minorenni.

Ascolta “Emanuela Orlandi – la pista del terrorismo internazionale” su Spreaker.

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Emanuela Orlandi viva

“Emanuela Orlandi è viva”, il rapimento

Articolo in Evidenza

Dopo la scomparsa della ragazza, avvenuta il 22 maggio del 1983, nei giorni seguenti i familiari temono il peggio. Emanuela potrebbe essere stata uccisa a seguito di un abuso sessuale, è questo quello che credono i familiari. Le indagini, però, ad un certo punto prendono una piega diversa.

Forse, Emanuela Orlandi è viva. Perché, forse, è stata sequestrata da qualcuno per minacciare il Vaticano. Allora, quello della cittadina vaticana non è più l’ennesimo caso di una minorenne violentata e poi uccisa, ma una vicenda molto più complessa.

Caso Orlandi. L’americano: “Emanuela Orlandi è viva”

Dopo che la notizia della scomparsa viene data alla stampa, chiamate continue iniziano ad intasare casa Orlandi. Poi arrivano anche quelle dirette al centralino della segreteria vaticana.

Tra mitomani e depistatori, si staglia la figura sfuggente e tuttora ignota di un uomo dall’accento anglosassone: l’Americano. Un uomo che si proclama il sequestratore della ragazza. “Emanuela Orlandi è viva” dice, e in cambio della sua liberazione chiede lo scambio con il terrorista Ali Agca.

Emanuela Orlandi – Il rapimento

L’americano non sarà l’unico a rivendicare il rapimento della ragazza. L’ombra del terrorismo internazionale si staglia minacciosa sul caso Orlandi. E così, tra “Lupi Grigi”, “Fronte Turkesh” e criminalità organizzata, la scomparsa di Emanuela Orlandi inizia ad intrecciarsi con la Storia degli anni Ottanta

Ascolta “Emanuela Orlandi – Il rapimento” su Spreaker.

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Emanuela Orlandi: il podcast true crime che parla della sua scomparsa

Emanuela Orlandi, l’inchiesta tra 40 anni di bugie

Articolo in Evidenza

Sono passati 40 anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana di cui si sono perse le tracce dal lontano 22 giugno 1983. Molte le piste vagliate negli anni, dal terrorismo internazionale alla Banda della Magliana fino all’ipotesi di abuso sessuale.

In questi giorni al Senato si stanno svolgendo delle audizioni per stabilire l’approvazione di una commissione d’inchiesta che, se istituita, indagherà sui casi di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori – quest’ultima scomparsa il 7 maggio dello stesso anno.

Caso Orlandi, il podcast di Italia Nera

Italia Nera – Il Male nel Belpaese è un podcast true crime che narra alcune delle storie più tristemente note del Paese, con il duplice obiettivo di ricordare le vittime e portare le persone a una maggiore consapevolezza sia dei fatti accaduti che della realtà che ci circonda.

Emanuela Orlandi ha sempre occupato le prime pagine dei quotidiani per un motivo: la sua scomparsa si lega alla storia del nostro paese. In particolare, il caso sembra avere dei legami con oscure vicende dell’epoca, dalla morte di Roberto Calvi, allo IOR di Marcinkus fino al Vatileaks. Insomma, tante le piste battute; moltissimi i depistaggi.

Il podcast di Italia Nera segue la storia del caso Orlandi nella speranza che, a breve, venga finalmente resa giustizia alla ragazza e alla sua famiglia. Quello della cittadina vaticana è il caso del XX secolo. Andiamolo a scoprire nella prima puntata del podcast.

Emanuela Orlandi – La ragazza vaticana

Siamo in una calda estate del 1983 quando una quindicenne, cittadina vaticana, scompare nel nulla. Ancora oggi, i familiari lottano per scoprire la verità su quello che le è successo. Dov’è Emanuela?

Al seguente link troverete il primo episodio della seconda stagione del podcast, interamente dedicata alla scomparsa di Emanuela Orlandi.

Ascolta “Emanuela Orlandi – La ragazza vaticana” su Spreaker.

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Filippo Turetta arrestato in Germania

Filippo Turetta era fuggito in Germania

Il 22enne era in Germania. Ora è in arresto con l’accusa di aver ucciso Giulia Cecchettin

Cessa la fuga di Filippo Turetta per l’Europa: la polizia ha fermato il 22enne in Germania mentre era a bordo della sua auto. Ora è in arresto con l’accusa di aver ucciso l’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Il cadavere della giovane è stato rinvenuto ieri 18 novembre nei pressi del lago di Barcis (Pordenone).

Filippo Turetta si sarebbe fermato domenica scorsa a fare rifornimento in un distributore automatico di Cortina e, per pagare, avrebbe usato banconote macchiate di sangue. Le telecamere hanno ripreso l’automobile e il ragazzo che introduceva il denaro nello sportello. Quando il titolare della stazione di servizio ha aperto l’impianto, qualche giorno dopo, tra le banconote ne ha trovata una da 20 euro con macchie di sangue.

Le parole di Tajani sull’arresto di Filippo Turetta

A dare la notizia del ritrovamento di Turetta è stato il Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha scritto: “Ringrazio gli inquirenti per il loro lavoro, che ha portato all’arresto di Filippo Turetta in Germania”.

Come ha spiegato il ministro, si tratta di una notizia che, per quanto buona, “non potrà mai lenire il dolore della famiglia e degli amici di Giulia, ai quali rivolgo le mie preghiere”.

Le parole di Gino Cecchettin: nessun odio per Filippo Turetta

Il padre di Giulia, Gino Cecchettin, il giorno scorso è andato nel bosco sopra Barcis per il riconoscimento del cadavere. Nascosto in una grotta, coperto da sacchi neri della spazzatura, sul corpo di Giulia si trovano i segni di coltellate al collo, alla testa e alle mani, che la ragazza avrebbe usato per difendersi dal brutale attacco.

Nel pomeriggio di ieri, Gino aveva parlato dell’altra figlia, Elena, dicendo che “adesso lei farà di questi temi la sua battaglia”. Mentre i social incitano al rogo e la gente – purtroppo, percentualmente più donne – protesta contro l’ennesimo femminicidio, il padre della vittima non ha speso nessuna parola di odio nei confronti del presunto killer. Non lo ha fatto nemmeno quando stamattina, appena sveglio, ha scoperto dell’arresto di Filippo Turetta in Germania. Chapeau! Ma chissà cosa dirà quando la giustizia italiana farà il suo compitino.

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Io Capitano - un film di Matteo Garrone

Matteo Garrone ci ha parlato del suo “Io Capitano”

Alla Soho House di Roma, Matteo Garrone è intervenuto per parlare del suo ultimo capolavoro

Il viaggio di un eroe contemporaneo, così Matteo Garrone ha definito il suo Io Capitano, vincitore del Leone d’argento alla regia alla 80esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Alla Soho House di Roma, il pluripremiato regista ha parlato della sua opera assieme al critico Francesco Alò (penna per «Il Messaggero» e «Badtaste.it»).

Il “primo” Garrone

Francesco Alò, prima di cedere la parola all’autore, ha voluto ricordare il “primo” Garrone (definizione che richiama tanto l’opera Primo Amore), definendolo un “matto scatenato” dalle grandi idee di cinema.

Perché è proprio nelle sue prime produzioni a basso budget – girate peraltro a Piazza Vittorio – che il regista inizia a trattare il tema dei migranti. In quei cortometraggi, un giovane e, per sua auto-definizione, inesperto Garrone parla dell’Italia attraverso il punto di vista di chi ci è venuto a vivere con la speranza di un destino migliore.

“Io Capitano”, visto in quest’ottica, è come un cerchio che si chiude: nella sua fase matura, dopo aver affrontato i generi del thriller e del fantasy, l’autore torna a parlare di migranti. Stavolta, però, lo fa in grande con un film ad alto budget girato in Africa.

L’ultima epopea dei nostri giorni

Io Capitano intreccia sapientemente il genere del road movie con il romanzo di formazione. Seydou, il protagonista, è all’inizio un 16enne insicuro, scisso tra il sogno dell’Italia e il senso di colpa nel lasciare la famiglia. L’empatia che l’attore è riuscito ad imprimere in questo personaggio è spiazzante tanto che, quando incominciano i guai, soffriamo con lui.

Io Capitano è il tentativo di dare forma visiva a quel viaggio dei migranti che non conosciamo, o perlomeno non vediamo. Siamo abituati a vedere nei telegiornali gli sbarchi, ma raramente andiamo oltre. Non vediamo che, dietro la rituale conta dei vivi e dei morti, ci sono delle persone, delle famiglie, dei sogni. Il regista ha cercato di raccontare il loro punto di vista e per dare al pubblico la possibilità di vivere il viaggio subsahariano come un’esperienza prima di tutto emotiva.

Quello che Garrone crea è qualcosa di semplice, eppure sempre più raro: un cinema che racconta una storia per emozioni. Seydou (che è anche il nome dell’attore) riesce a far vivere l’avventura epica di questo racconto. Quella dei migranti è l’ultima epopea dei nostri giorni.

La questione sociale

Matteo Garrone in “Io Capitano” è un autore-spettatore che ha lasciato agli attori la possibilità di raccontare la propria esperienza. Le figurazioni che compaiono nel film sono infatti persone che realmente hanno affrontato il viaggio subsahariano. Sul set, queste persone lo hanno aiutato a ricostruire la loro realtà.

L’ispirazione nasce da tre storie diverse, una delle quali è quella di Fofanà, un ragazzo che ha scontato il carcere per aver portato una barca con 25o migranti. Fofanà aveva allora 15 anni, ed era stato scelto dai trafficanti come capitano della barca (proprio come accade a Seydou) per via della sua minore età, per cui avrebbe scontato pene meno gravi in Italia. Quella che viene mostrata nel film è una dinamica frequente negli sbarchi: molto spesso a finire in carcere (con pene fino a 10 anni) sono dei ragazzini che accettano di guidare le barche per pagarsi il viaggio, mentre i veri trafficanti stanno a guardare. Queste sono state le parole di Garrone in merito: “Mettiamo in carcere chi è vittima di quel sistema; ci sono tanti Io Capitano in carcere”.

Il regista non ha poi risparmiato critiche alla gestione degli sbarchi attuata dai governi italiani negli ultimi anni. Per una questione sociale così complessa, però, non ci sono soluzioni semplici come un intervento al cineforum farebbe credere…

Resta il fatto che il tema dei migranti è una pagina buia della nostra storia, una tragedia contemporanea che, in quanto tale, tocca inevitabilmente di più rispetto ai drammi del passato, poiché qui non possiamo attuare quello che Alessandro Barbero chiama il “distaccamento storico”: è qualcosa che sta accadendo e che, purtroppo, accadrà ancora a lungo.

Matteo Garrone: il diritto di sognare, il diritto di muoversi

La storia di Seydou e di suo cugino Moussa mostra due ragazzini che lasciano una vita tranquilla, seppur povera, andando incontro a una serie di eventi drammatici. Il prezzo da pagare per un sogno che porta il nome del Belpaese. Tuttavia, come questa pagina non cessa di ricordare, quello che si nasconde dietro la facciata di bellezza e giovialità dell’Italia è ben altro. Nonostante ciò, Seydou e Moussa hanno il diritto di sognare un futuro diverso. Questo desiderio emerge chiaramente nel film, che non mostra una partenza dovuta a conflitti bellici o estrema disperazione. I due ragazzi decidono di partire per inseguire un sogno che è – o meglio, dovrebbe essere – anche un diritto umano: quello di muoversi. Perché, come ha ricordato Garrone, “il diritto di muoversi dovrebbe essere di tutti”.

Seydou e Moustafa (questi i nomi dei due attori protagonisti) non erano mai usciti dal Senegal proprio come i personaggi che interpretavano. Perciò avevano in comune con i rispettivi personaggi il desiderio di scoprire il nostro mondo. Inoltre, il regista durante le riprese li ha lasciati in uno stato di sospensione: la sceneggiatura è stata data loro giorno per giorno. E questo si sente all’interno del film, soprattutto nel primo piano finale, dove un turbinìo di emozioni attraversa il volto di Seydou come se riassumesse in pochi frame gli stati d’animo che lo hanno percorso durante il viaggio. E’ in questa immagine finale, nella sua intensità ed autenticità, che risiede la vera forza del film. Non a caso l’interpretazione di Seydou gli è valsa il Premio Marcello Mastroianni alla Mostra del Cinema di Venezia.

Il primo piano di Seydou è l’immagine finale che racchiude l’intero film
Il PP di Seydou: l’immagine finale che racchiude l’intero film

Come ha fatto notare Francesco Alò, la metodologia è sempre la stessa del “primo Garrone”: i nomi dei personaggi corrispondono a quelli delle persone che li interpretano; il film è stato girato – coraggiosamente, ammettiamolo – in sequenza.

Quell’ispirazione partita da lontano

L’esigenza di questo film è nata diversi anni fa (il regista dice che è stato prima di Dogman), dalla storia di Fofanà di cui abbiamo parlato prima. L’autore, nell’ascoltarla, aveva carpito gli echi dei romanzi d’avventura di Conrad e Jack London. Tuttavia, aveva pensato a lungo prima di proporlo in produzione perché non si sentiva autorizzato a raccontarlo. Su di questo aspetto ci sarebbe molto da dire, e personalmente non condivido l’idea che una storia possa essere narrata solo da chi appartiene a uno stesso humus, etnia o genere, fatto sta che Garrone aveva atteso che qualcuno la raccontasse al posto suo.

Nessuno, però, si prendeva la briga di farlo, ed ecco che a quel punto il regista si è detto che “negli anni il film rimarrà e io no; se il film viene bene, ci si dimenticherà di chi ero io”. Ed è così che si è rimboccato le maniche.

ll ritorno delle grandi narrazioni

“Io Capitano” è uno dei pochi film italiani a raccontare un’epopea, ed in questo sta la sua universalità: il viaggio dell’eroe è qualcosa che tocca ognuno di noi perché attinge da desideri comuni a popoli, età, persone differenti. Se il postmoderno ha frammentato le grandi ideologie e ha parlato di “fine delle grandi narrazioni”, ecco che esse ritornano a bussare alla porta: le grandi storie da raccontare esisteranno sempre, perché l’essere umano sogna e, se non sogna, desidera farlo.

“Io Capitano” non è un film con una tesi, ma lascia al pubblico la possibilità di trarre le proprie conclusioni dopo aver viaggiato insieme al protagonista. Per via della sua struttura lineare e della sua carica emotiva, “Io Capitano” è popolare, e ciò spiega i risultati incredibili raggiunti al botteghino.

Matteo Garrone in corsa per gli Oscar

Quello alla Soho house sarà per Matteo Garrone l’ultimo incontro in Italia con il pubblico prima della corsa agli Oscar. Infatti, già domenica il regista sarà a Parigi, poi a Londra, Madrid, Marrakech, L.A., N.Y. e Berlino. “Se l’aero arriva a destinazione” chiude scaramantico dopo che quella definizione di “ultimo incontro” data da Alò lo mette un po’ sull’attenti.

Infine, come non parlare della magia presente in questo film? Dopo aver affrontato metafisica, magia e incantesimi (Pinocchio, Il racconto dei racconti) Garrone la inserisce nel contesto africano con scene memorabili. Come quella delle anime dei morti, ad esempio, oppure quando vediamo una donna, oramai morta, volare spensierata in cielo. Sono momenti – ha spiegato l’autore – che servono a raccontare lo stato d’animo del protagonista. Tuttavia, alcune delle scene più simboliche sono state tagliate per dare purezza al film, che in effetti scorre senza fronzoli fino al finale.

Se siete interessati a scoprire di più sul cinema di Garrone, cliccate sul seguente link per vedere il libro che ne parla:

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cadavere di Giulia

Il cadavere di Giulia Cecchettin a Pian delle more

Ritrovato il corpo di Giulia, la 22enne scomparsa una settimana fa

Stamattina i vigili del fuoco hanno trovato il corpo di una donna e si teme possa trattarsi del cadavere di Giulia Cecchettin, la 22enne scomparsa lo scorso 11 novembre assieme all’ex fidanzato Filippo Turetta.

Quello che potrebbe essere il cadavere di Giulia è stato rinvenuto in località Pian delle more, in un canalone lungo la strada che dal lago di Barcis conduce alla stazione turistica di Piancavallo. Ora, degli elicotteri stanno setacciando la zona nella speranza di trovare la Fiat Punto nera di Filippo Turetta.

Filippo Turetta: l’appello del Procuratore dopo il ritrovamento del cadavere di Giulia

Il Procuratore di Venezia, Bruno Cherchi, ha dichiarato che il corpo “dovrebbe essere quello di Giulia”, in base ai primi riscontri dei Carabinieri intervenuti sul posto. Non resta che aspettare la sentenza del medico legale per averne la certezza.

Bruno Cherchi ha inoltre lanciato un appello a Filippo Turetta: “Lo invito a costituirsi e a dare la propria versione dei fatti”. Il procuratore ha poi aggiunto: “La ricostruzione dei fatti che potrebbe fare Turetta è molto importante, anche per lui stesso. Per questo ribadisco: non continui questa sua fuga e si costituisca”.

Dopo il ritrovamento del cadavere di Giulia è caccia al “presunto” killer: Filippo Turetta

Prima ancora del ritrovamento del corpo, l’ipotesi che Giulia fosse morta era la tesi più credibile a giustificazione della sua scomparsa. Parimenti, era sulla bocca di tutti il nome del killer: l’ex fidanzato Filippo Turetta.

Troppe le prove ad inchiodarlo, la più schiacciante delle quali consistente nel filmato che lo riprende mentre picchia Giulia e poi la carica nella sua auto, la Punto nera di cui sopra.

Se della Punto Fiat di Turetta non c’è traccia, è però certo sia passata per l’Austria. Mercoledì scorso, infatti, il targa-system di Lienz (Tirolo orientale) ha registrato il suo passaggio.

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Andrea Purgatori inchiesta

Andrea Purgatori inchiesta dopo la morte

Andrea Purgatori inchiesta dopo la morte. Il giornalista è morto all’età di 70 anni lo scorso 19 luglio a seguito di una “malattia fulminante”. La notizia è stata data dai familiari, che ora hanno chiesto accertamenti in merito alle motivazioni del decesso.

Dopo la denuncia da parte della famiglia, la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo, disponendo per l’autopsia e acquisendo le cartelle cliniche del compianto volto di La7.

La malattia del giornalista

Andrea Purgatori era affetto da una grave forma di tumore ai polmoni, diagnosticata due mesi prima della morte. Sarebbe questa la “malattia fulminante” di cui si è parlato nei giornali.

Da quanto si apprende, la magistratura avrà il compito di appurare se c’è stato qualche errore in fase di diagnosi e di correttezza delle cure. La famiglia chiede verifiche in merito a una specifica diagnosi “repertata in una nota clinica di Roma” e circa la necessità delle pesanti cure prescritte al giornalista.

Le inchieste di Andrea Purgatori

Il giornalista era uno dei volti più noti del canale La7 e negli ultimi anni il suo nome era legato alla trasmissione Atlantide, di cui era autore e conduttore. Giornalista, sceneggiatore, conduttore e autore televisivo, Andrea Purgatori aveva indagato alcune delle vicende giudiziarie più importanti del Paese.

Oltre alle inchieste per il Corriere della Sera, di cui vale ricordare quelle su terrorismo, intelligence, criminalità e strage di Ustica, il suo lavoro merita una menzione anche per essersi occupato del Caso Orlandi. Il giornalista non solo era comparso nella docu-serie Netflix Vatican Girl, ma ne aveva tenuto le fila fungendo in molti punti da narratore “interno” alla vicenda.

Grande sostenitore della pista finanziaria, Purgatori aveva formulato una nuova ipotesi circa la scomparsa di Emanuela Orlandi a seguito della testimonianza della sua amica dell’epoca, che nel documentario racconta di come Emanuela le abbia rivelato di essere stata vittima delle avances di un Alto Prelato.

Purgatori, la sua ipotesi sul Caso Orlandi

Quando Emanuela Orlandi sparisce il 22 giugno del 1983, il giornalista aveva 30 anni e lavorava per il Corriere della Sera. Il giovane Purgatori si interessa subito al caso, di cui si occupa con passione fino a che il direttore dell’epoca – Alberto Cavallari – lo mette da parte per non compromettere i rapporti del giornale con il Vaticano.

La Santa Sede aveva attaccato il giovane giornalista per un suo articolo dove parlava dell’esistenza di una trattativa tra il Vaticano e un’organizzazione criminale che voleva recuperare i soldi dati allo Ior e mai restituiti. La somma sarebbe stata di circa 130 miliardi di lire, equivalenti a circa 67 milioni di euro.

Andrea Purgatori ha quindi sempre negato la validità della pista del terrorismo internazionale, dato che fin dall’inizio aveva ricercato i legami tra Ior, criminalità organizzata e scomparsa di Emanuela.

In un’intervista rilasciata poco tempo fa, il giornalista ha affermato di vedere un legame tra la pista della pedofilia in Vaticano e quella finanziaria legata allo Ior.

Nell’intervista Purgatori aveva infatti dichiarato: «La pista della pedofilia può avere senso e coesistere con quello che è successo. Ma il punto centrale è l’ipotesi finanziaria».

Emanuela Orlandi, tragedia in due atti

L’ipotesi lanciata da Andrea Purgatori – a seguito della recente testimonianza dell’amica di Emanuela – era che la vicenda si fosse svolta in due atti distinti ma collegati.

Nel primo la ragazza è vittima di un giro pedofilo in Vaticano, così da essere abusata e uccisa. Nel secondo, l’organizzazione criminale a cui lo Ior deve restituire soldi scopre della scomparsa della ragazza vaticana, capisce cosa c’è sotto e così decide di minacciare la Santa Sede al fine di recuperare finalmente i soldi dati allo Ior.

La Banda della Magliana, secondo il giornalista, avrebbe assunto il ruolo di mediatore tra l’organizzazione criminale e il Vaticano.

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